Quando ero piccolo, andavo all'asilo dalle suore al civico 68 e c'era la Giovanna, una signora un pochino grassa, che rideva sempre anche se le mancava qualche dente. Io arrivavo con il cestino della merenda e per mano a una bambina che abitava vicino, eravamo fidanzati.
Sul portone la Giovanna aspettava, apriva le braccia e ci stringeva forte, poi ci portava dentro. Quello che non mi andava giù era il pisolino del pomeriggio perché volevo giocare e non avevo mai sonno.
Un giorno sono cresciuto e ho cominciato a giocare nei cortili con gli altri bambini. Potevo andare a casa loro e, qualche volta, mi invitavo io a pranzo dal mio amico Ignazio. Lo chiamavo per nome ma era grande e sposato con la signora Pinuccia che era sempre agitata per tutto, anche quando preparava la tavola. Il Giancarlo e la Mariuccia erano i figli e i miei compagni di scuola.
Lungo la via c'erano tanti negozi, anche dall'altra parte del naviglio sulla ripa. Noi piccoli potevamo attraversare il ponte ed andare di là, ma solo con i genitori. Davamo dei soprannomi a tutti, ma non osavamo dirli ad alta voce, solo tra di noi. Girato l'angolo vedevo la latteria del signor Romano, lui era scapolo e il più giovane di tutti i negozianti; ogni giorno andavo a prendere il latte nella bottiglia di vetro e qualche liquirizia. Aveva un bancone rivestito di pelle nocciola con dei pomoli colorati e fuori dei tavolini con le seggioline per chi mangiava il gelato. I ragazzi più grandi la sera si trovavano lì a fare un po' di baccano con le moto. La signora Gina aveva la salumeria e le piaceva anche tanto mangiare perché faceva fatica a passare dalla porta. Il suo aiutante era il Franco molto gentile ma sudava sempre; metteva in vetrina tanti prosciutti, i vasi con le olive, la giardiniera. Poi vicino a Natale, chi aveva messo un po' di soldi su una tessera, ritirava un bel cesto pieno di cose buone oppure se vinceva la lotteria, il premio era sempre qualcosa da cuocere. Più avanti mi ricordo la drogheria con l'interno tutto di legno e tanti cassettini. Mi divertivo ad aprirli ma non dovevo mettere le mani dentro perché c'era lo zucchero, il caffè, le caramelle, i dadi, la camomilla. Dietro il banco stavano la signora Ginetta e suo marito Angelo. Andava lui a consegnare i bottiglioni di vino e dell'olio che portava in un borsa grande a casa dei clienti, faceva fatica e camminava piano per il peso.
Avanti un po' il negozio di frutta e verdura con le mattonelle rosse e nere sul pavimento, l'ortolano era un bravo signore con il grembiulone verde e portava delle scarpe grandi dato che aveva mal di piedi, sua moglie faceva il conto ai clienti su un blocchetto ed era sempre ben vestita e pettinata. In cima all'alzaia, proprio davanti alla darsena, il signor Piero era il proprietario di un magazzino di terrecotte e ceramiche di Bassano del Grappa. Si trovava di tutto, con delle scalette di legno per andare su e giù dove tanti scaffali sostenevano un mucchio di cose. Mia mamma comprava le tazze, i vasi per il balcone, i piatti e i mestoli, le statuine del presepe e le ciotole per la cucina. Quando il signor Piero è andato in cielo la figlia ha continuato a lavorare ancora un bel po'. In una delle vie di fronte al ponte avevano aperto una merceria grande e piena di cose, erano tutti contenti perché trovavano i vestiti, la biancheria per la casa e quello che serviva per cucire e lavorare a maglia. Il marito, la moglie e due figli grandi stavano tra tutta quella merce e i clienti erano molti. Io andavo lì a giocare con il metro di legno e mia sorella con l'ago e il filo, avevano anche il camerino di prova con lo specchio, ma davano sempre un consiglio a chi era indeciso.
Nella macelleria faceva sempre freddo, perché la carne non doveva guastarsi, appoggiata su un bancone di marmo. Quando arrivava il camion noi andavamo a vedere cosa scaricavano e sulle spalle avevano davvero tanti pesi che a fatica portavano nella cella dietro il negozio. Il macellaio aveva un tic e quando affilava i coltelli, a noi bambini faceva un po' paura, ma era bravo e attento.
Però il posto più bello era il panettiere che sfornava le michette, il pane all'olio e il pane con l'uvetta. Dal retro, dove c'era il forno, arrivava un profumo che entrava nelle case di tutto il quartiere. Lui, il fornaio, si alzava la notte per fare il pane e andava anche in inverno a consegnare le ordinazioni in bicicletta con i calzoncini corti, tutto infarinato. Ma quando arrivava la Pasqua eravamo lì tutti quanti incantati, davanti alla sua vetrina che era una meraviglia! Zeppa di colombe, gallinelle di zucchero e uova di cioccolato, grandi o piccole non importava, ma tutte con dentro una sorpresa e con dei fiocchi che più grandi non si poteva. Non vedevamo l'ora di scartarle e romperle, cercare quel pacchettino tutto per noi e poi si mangiava il cioccolato, ma dopo. Era la Pasqua il segno delle merende e dei giochi all'aperto, di un po' più di libertà, della disobbedienza, degli scapaccioni perché strillavamo o ci cadeva il pallone nel naviglio e allora erano guai. Noi crescevamo in fretta e ci sporcavamo di più e poi voleva dire che non tanto lontano sarebbero arrivate le vacanze, un po' di mare magari, nelle colonie estive. Ma intanto c'era l'uovo che apriva le nostre porte di casa e i nostri piccoli cuori. Sì era la Pasqua, ora che ci penso, che ci apriva alla vita, alla rinascita, proprio come vorremmo oggi.
BUONA PASQUA da un bambino felice degli anni '60 sul naviglio grande.